Gli abituali frequentatori di mostre e gallerie non pensino di trovare nelle materiche carte di Stefano Rambaldi, pronti riscontri ed aspetti d’immediata, semplice lettura.
Nel percorrere richiami naturali, tracce rievocanti indimenticati viaggi o pulsanti memorie d’antiche geologie, l’appartato artista (raramente le sue opere entrano in circuiti espositivi) può intitolare nel modo più accessibile ricerche ed emozioni.
Su fondi cupi e/o dorati, i fantasiosi diagrammi, le sensitive ramificazioni, i piani, i volumi di un immaginoso neo-cubismo possono definirsi, secondo il loro Autore, come luoghi di spettacolo, campi di grano, planimetrie insulari.
Ma poco importa se nell’elaborato comporsi di argentati fogli, cere, aniline, inchiostri, può sfuggire una comune leggibilità figurativa, se memorie d’oriente si succedono come rivissute teorie di tonali accordi sul fondo di una sintetizzata cupola, se i tasselli acquerellati sulla rugosità di una spessa superfice divengono mobili espressività di una insolita astratta geometria.
Interessa, invece, nel silenzioso operare si Stefano Rambaldi, il raggiunto equilibrio plastico e cromatico che accompagna le forme, che individua tracciati di un’approfondita, inesausta, sempre coerente indagine.
Nelle studiate, meditate carte , nella maggior parte di vaste dimensioni, il risolversi di una intima interiorità e con il procedere di riflessive grafie, un misterioso proporsi di modulati rilievi, la sobria, assorta essenzialità vitale dei colori.
Bologna, settembre 1996
Luciano Bertacchini